“Avveduti – estetica dell’assenza”
8a edizione – 2019
La rassegna artistica Avveduti dedica la sua ottava edizione agli spazi vuoti e alle infinite possibilità che l’assenza di strutture può donare. Spazio libero come lo è un foglio bianco, vuoto e contemporaneamente carico delle molteplici possibilità di realizzazione su di esso, uno spazio vuoto che è in realtà uno spazio vivo e dinamico, in costante trasformazione e capace di contenere il vissuto personale di ciascuno di noi.
a cura di Chiara Moro
In questo momento storico caratterizzato da eccesso e abbondanza, assenza e presenza diventano nozioni di ricerca per il 2019: proprio per questo l’ottava edizione di Avveduti sceglie di porre l’attenzione sul concetto di assenza e sulla sua estetica. È negli spazi vuoti che penetra il racconto, nello spazio libero che diventa dimensione, estensione, ampiezza, distanza, apertura verso nuove visioni, finestre alle quali potersi affacciare. Simbolo intramontabile sono i tagli di Fontana, artista visionario che, dalle parole di Gillo Dorfles, sentiva «l’importanza di creare un’arte capace di trascendere gli angusti limiti della superficie della tela per estendersi in una dimensione più vasta», per far sì che i contenitori non determinino più la forma dei contenuti. Fessura è anche lo spazio tra le righe di un testo, involucro di infinite altre storie, storie che sono quelle di chi scrive, di chi legge, di chi ascolta. Uno spazio che è quello di Platone, recipiente di tutte le cose, una zona di contatto, di passaggio, di apertura anche e soprattutto mentale. Ed è nelle più antiche manifestazioni del pensiero umano che troviamo il concetto di Chaos come un immenso spazio vuoto al cui interno hanno preso forma tutte le cose. Ne emerge l’idea di un fertile chaos, e quindi direttamente di un fertile spazio vuoto, in cui tutto può esistere e trasformarsi. Tra gli storici, citiamo Butor che elogia «la discontinuità, l’incompiutezza, l’assenza, l’importanza del vuoto». Spazi vuoti sono anche i luoghi della vita, luoghi vuoti proprio perché in grado di essere riempiti. E, spesso, deserti silenti sono le città, per antonomasia agglomerato di persone e di vissuti nonché sovrapposizione dei luoghi della memoria, ma sempre più spesso luoghi di alienazione e di assenza, non-luoghi in cui perdere e perdersi, o ricominciare. Città come luoghi di assenza spirituale derivata dall’opulenza contemporanea, e quasi verrebbe voglia di scongiurare l’eventualità dell’accumulazione di beni ridando vita al potlatch, rito di popoli lontani, in cui venivano distrutte e ridistribuite in maniera equa le ricchezze che, accumulate, avrebbero acquisito il valore di “parte maledetta”. Affascina il concetto che su questa parte cosiddetta maledetta, si baserebbero le società capitalistiche tradizionali, luoghi abbaglianti in cui vaghiamo come lucciole sempre più fioche. Ricordiamo anche i vuoti che sono stati e sono ancora fascinazioni, come le distese marine, i poli, i deserti… ambienti ostili e difficili che hanno sempre attratto miriadi di esploratori, avventurieri e sognatori. Ed è ispirandoci proprio ad un viaggio alla scoperta dell’inesplorato che il tema di quest’anno, la “estetica dell’assenza”, mette in relazione arte e contesto sociale, nel voler ampliare la visione, dando un nuovo respiro allo sguardo, creando percorsi nel deserto più ampio, alla ricerca di stimoli che possano insegnarci a ritrovare il miglior senso del nostro esistere nelle più piccole pieghe del presente.
16 marzo – 13 aprile, Marzia Canzian
18 maggio – 15 giugno, Stefania Lucchetta
22 giugno – 20 luglio, Vera Belikova
07 settembre – 5 ottobre, Gianni Pignat
23 novembre – 14 dicembre, Rocco Lombardi
Marzia Canzian
dal 16 marzo al 13 aprile
In una sorta di alfabeto materico, partendo da forme uguali tra loro, il mosaico di Marzia Canzian si mostra nella sua essenzialità, con accostamenti semplici e naturali, nella neutralità dei colori. Forme geometriche danno il ritmo alla campitura: il messaggio comunicato è rapido ed essenziale, secco e pulito, senza fronzoli, media perfetto per far sì che ciascuno ne possa dare personali interpretazioni e ne possa ritrovare scene del proprio vissuto.
Stefania Lucchetta
dal 18 maggio al 15 giugno
Liberamente ispirati al mondo più tattile della scultura e degli equilibri, i gioielli di Stefania Lucchetta sono emblema di leggerezza e sottrazione. La struttura matematica sulla quale ogni gioiello poggia regala alla vista armoniose composizioni e dà modo alle emozioni di liberarsi. Nell’indossarle, queste generose sculture dialogano con la pelle e la sua trama, acquisendo il forte valore affettivo che il gioiello per antonomasia ha.
Vera Belikova
dal 22 giugno al 20 luglio
Nelle opere di Vera Belikova i veri protagonisti sono la qualità delle linee, gli andamenti e l’organizzazione delle tessere musive. Le ombre che si creano dall’accavallarsi delle forme, delineano la simbologia del paesaggio e sanciscono l’inizio del racconto. In un’atmosfera di eterna estate, le stesse ombre dialogano con la luce, si svestono della loro connotazione spaventevole e, non più nocenti, forniscono pace e sollievo.
Gianni Pignat
dal 07 settembre al 5 ottobre
Perfetta sintesi dei sui viaggi, le trame di acciaio di Gianni Pignat nascono dal desiderio di rendere tangibile un’insieme di emozioni e sensazioni che troppo spesso restano silenti in chi le ha vissute. La mano dell’artista è guidata dagli elementi immaginativi che ha processato nella sua mente (e che continua a processare nell’attimo della definizione delle forme), donandoci quadri intimi ed estremamente personali.
Rocco Lombardi
dal 23 novembre al 14 dicembre
Come nel processo fisico che porta l’immagine alla nostra retina, allo stesso modo Rocco Lombardi basa le sue opere sulla dialettica tra luce e ombra, nella creazione di un universo post-umano, abitato da soli animali. Partendo dalla magma informe per eccellenza, il buio, è la luce a dipingere la tela, delineando storie di apparente calma in cui i protagonisti sono resi, in attesa, nell’attimo che precede l’azione.